Il 21 febbraio 2019 all’imbocco del porto di Gela si incagliava una barca, segnalata da un pescatore del luogo. Le immediate indagini condotte dagli investigatori della Squadra Mobile permettevano di appurare che era stata rubato a Catania pochi giorni prima e che erano sbarcate decine di persone presumibilmente di origini nord africane. Si risaliva così ad una coppia di origini tunisine che finiva agli arresti domiciliari e che secondo gli inquirenti gestiva l’attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina da una casa a Niscemi. Da questa indagine, l’operazione della Polizia di Stato, coordinate dalla magistratura, denominata “Mare aperto” ha portato ora a 18 arresti di 11 persone di nazionalità tunisina e 7 italiane (12 in carcere e 6 ai domiciliari) per associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le indagini sono risalite al capo dell’organizzazione, abitante a Niscemi ed a due tunisini con base operativa a Scicli che avrebbero avuto il compito di gestire le casse dell’associazione per delinquere. Inoltre 5 italiani avrebbero curato gli aspetti logistici, come l’ospitalità subito dopo lo sbarco sulle coste siciliane ed il trasferimento degli scafisti dalla stazione dei pullman alla base operativa mentre 4 scafisti (un italiano e 3 tunisini) e 4 tunisini avrebbero avuto il ruolo di “connection man” con il compito, in madre patria, di raccogliere il denaro dei migranti che volevano raggiungere l’Europa. L’associazione per delinquere, con vari punti strategici dislocati in più centri siciliani – Scicli, Catania e Mazara del Vallo -, avrebbe impiegato piccole imbarcazioni, munite di potenti motori fuoribordo, condotte da esperti scafisti che avrebbero operato nel braccio di mare tra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche e Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento, così da raggiungere le coste italiane in meno di 4 ore, trasportando dalle 10 alle 30 persone per volta, esponendole a grave pericolo per la vita. Il prezzo pro-capite, pagato in contanti in Tunisia prima della partenza, si sarebbe aggirato tra i 3000 e i 5000 euro; il presunto profitto dell’organizzazione criminale, quindi, si attesterebbe tra i 30.000 e i 70.000 euro per ogni viaggio. Il denaro raccolto in Tunisia sarebbe stato inviato in Italia, a Scicli, attraverso note agenzie internazionali, specializzate in servizi per il trasferimento di denaro, per essere successivamente versato su carte prepagate in uso ai promotori dell’associazione, i quali lo avrebbero reinvestito per aumentare i profitti dell’associazione, comprando, ad esempio, nuove imbarcazioni da utilizzare per le traversate. La base operativa è stata individuata alla periferia di Niscemi, all’interno di una vecchia masseria – dimora della coppia tunisina già arrestata -, dove insiste anche un campo volo privato, il cui proprietario, un imprenditore agricolo niscemese, è oggi indagato e destinatario della misura cautelare in carcere perché ritenuto tra i capi del sodalizio criminale. Qui sarebbero stati anche ospitati gli scafisti di spola provenienti dalla Tunisia e sarebbero stati trasportati – a mezzo di speciali autocarri – le imbarcazioni da impiegare per le traversate dalle coste nord africane a quelle siciliane. In particolar modo le imbarcazioni sarebbero partite dal porto di Gela o dalle coste dell’agrigentino per raggiungere la Tunisia e far immediato rientro con il “carico” di migranti. Il proprietario della masseria si sarebbe messo a disposizione della presunta organizzazione criminale anche attraverso l’assunzione fittizia di alcuni sodali stranieri, al fine di legittimarne la permanenza o l’ingresso nel territorio italiano. Anche uno dei due promotori tunisini sarebbe stato impiegato come bracciante agricolo con lo scopo di eludere la misura degli arresti domiciliari ed ottenere la concessione di appositi permessi che potessero consentirgli ampi margini di manovra per organizzare liberamente i viaggi dei connazionali. In più occasioni sarebbe stato proprio lo stesso imprenditore niscemese a recarsi in Tunisia come portavoce del promotore tunisino, prendendo accordi con gli accoliti del luogo al fine di pianificare le fasi della traversata e le modalità di spartizione dei proventi, nonché per mettersi a disposizione offrendo fittizi contratti di lavoro ai migranti giunti in Italia. Nel corso dell’indagine è stato possibile ricostruire la presunta organizzazione di più viaggi organizzati dalla Tunisia alle coste italiane. Il 26 luglio 2020, in uno dei viaggi pianificati dagli indagati, un’imbarcazione sarebbe partita dal Porto di Licata in direzione delle coste tunisine proprio al fine di prelevare il carico di esseri umani per condurli in Italia. Solo l’avaria di entrambi i motori non ha permesso la conclusione del viaggio; pertanto il natante rimasto alla deriva “mare aperto”, da qui il nome dell’operazione. Grazie alla stretta collaborazione della Capitaneria di Porto di Porto Empedocle e del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Mazara del Vallo, è stato possibile individuare l’imbarcazione durante le fasi di rientro dalle coste tunisine, identificando così gli scafisti facenti parte dell’organizzazione criminale. In particolar modo il natante è stato rintracciato di fronte le coste del comune di Mazara del Vallo. Le complesse fasi dell’organizzazione del traffico di migranti sono state oggetto di attività di intercettazioni telefoniche. Nel corso dell’indagine è emersa la determinazione, da parte degli scafisti, di sbarazzarsi dei migranti in alto mare qualora necessario od in caso di avaria dei motori.