A sentir parlare i poliziotti che lo hanno conosciuto e ci hanno lavorato, il sentimento è sempre lo stesso, comune a tutti “il dottore ci faceva stare bene e prima di essere un dirigente era un padre”.
Amico intimo di Gabrielli è stato fortemente legato alla sua terra natia, l’Irpinia, Manganelli era riuscito a costruire la sua carriera attraverso la fiducia dei “suoi ragazzi” come amava definirli e solo dopo, per ragioni istituzionali, aveva aperto agli affari politici. Un sentimento verso lo Stato fortemente fondato sui principi istituzionali ai quali, però, non faceva mai mancare il lato umano del cittadino italiano capace di risolvere le questioni anche attraverso la comprensione e il buon senso.
La collaborazione coi Magistrati Falcone, Borsellino e altri componenti del pool antimafia che negli anni ottanta rivoluzionarono il mondo di combattere il malaffare, segnò concretamente il modo di operare dell’investigatore che negli anni, poi, raggiunse i massimi vertici dello Stato. Un’ascesa sempre caratterizzata dal supporto dei suoi più stretti collaboratori a cui Manganelli, anche da lontano, non ha mai fatto mancare il suo affetto.
Lo stesso affetto e lo stesso rimorso che lo portarono, dopo i fatti della Diaz, a chiedere scusa pubblicamente a tutte le vittime e a tutti i cittadini onesti che in quei giorni e nel tempo avvenire, ebbero meno fiducia nella sua Polizia. Una fiducia ricostruita nel tempo anche grazie al suo esempio.
Aveva ancora molto da fare, dire e insegnare ma a marzo del 2013 le sue condizioni si complicarono e il giorno 20, dello stesso mese, il suo cuore cessò di battere.
Oggi, a distanza di dieci anni, resta l’immagine indelebile di un uomo straordinario al servizio del Paese.