La suprema Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio per intervenuta prescrizione, l’ex comandante della stazione carabinieri Roma Appia, il maresciallo Roberto Mandolini, condannato in appello a tre anni e sei mesi di carcere per falso nel processo per l’omicidio di Stefano Cucchi.
Analoga decisione anche per il carabiniere Francesco Tedesco condannato in appello a due anni e quattro mesi.
I due militari sono stati processati nei tre gradi di corte d’assise insieme ai carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, condannati in Cassazione ad Aprile 2022 per l’omicidio preterintenzionale del giovane pestato a sangue dopo l’arrestato effettuato ad ottobre 2009 a Roma.
In quella stessa circostanza (era l’aprile del 2022) la Cassazione aveva rinviato gli atti in Appello per le sole posizioni di Mandolini e Tedesco poi condannati in secondo grado con sentenza dello scorso luglio.
Quella odierna, dunque, chiude definitivamente la vicenda giudiziaria con l’annullamento della condanna per entrambi per maturati tempi di prescrizione.
Le parole di Ilaria Cucchi
”Roberto Mandolini è colpevole ma è stato salvato dalla prescrizione. Provo tanta pena per lui”.
Così all’Adnkronos Ilaria Cucchi dopo la pubblicazione della Corte di Cassazione che con la sentenza pronunciata questa sera ha dichiarato prescritto il reato di falso contestato al maresciallo Roberto Mandolini e al carabiniere Francesco Tedesco
La vicenda nella terza inchiesta
Il 20 giugno 2018 Francesco Tedesco, uno degli imputati del c.d. “processo-bis” (e considerato da molti un “supertestimone”), aveva presentato alla Procura della Repubblica di Roma una denuncia contro ignoti, nella quale lamentava la scomparsa di un’annotazione di servizio da lui redatta il 22 ottobre 2009 e indirizzata ai suoi superiori, nella quale esponeva i fatti accaduti nella notte fra il 15 e il 16 ottobre precedente. In particolare, egli descriveva di avere assistito al pestaggio del geometra romano presso la caserma della Compagnia Roma Casilina da parte dei propri colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, violenza a cui inutilmente aveva cercato di porre fine.
A seguito di tale denuncia, la Procura avviò un’indagine affidandola allo stesso sostituto procuratore Musarò, il quale iscrisse nel registro degli indagaticon l’accusa di falso ideologico i carabinieri Francesco Di Sano, uno dei due piantoni della caserma di Tor Sapienza che ebbe in custodia Cucchi la notte in cui era stato arrestato, Massimiliano Colombo Labriola, che all’epoca era il comandante della Stazione Roma Tor Sapienza, Luciano Soligo, all’epoca comandante della Compagnia Roma Monte Sacro, da cui la Stazione Roma Tor Sapienza dipende, e Francesco Cavallo, all’epoca vice-comandante del Gruppo Roma: essi erano accusati di aver falsificato due annotazioni di servizio sulle condizioni di salute di Stefano Cucchi con lo scopo di indirizzare l’indagine verso persone che non avevano alcuna responsabilità.
Inizialmente sentito dalla procura di Roma come persona informata sui fatti, nel febbraio 2019 fu iscritto nel registro degli indagati per falso ideologico anche il generale di brigata Alessandro Casarsa, all’epoca comandante del Gruppo Roma.
Concluse le indagini, il 14 aprile 2019 fu complessivamente chiesto il rinvio a giudizio di 8 militari dell’Arma: Alessandro Casarsa, Francesco Cavallo, Luciano Soligo, Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano per falso ideologico; Lorenzo Sabatino, che nel 2015 era il comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma, e Tiziano Testarmata, che nel 2015 era il comandante della IV sezione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Roma, per omessa denuncia e favoreggiamento (nel 2015, dopo che la procura li aveva incaricati di acquisire tutti i documenti riguardanti il caso Cucchi, essi avrebbero volontariamente omesso di denunciare all’autorità giudiziaria la falsità ideologica delle due annotazioni di servizio sulle condizioni di salute di Stefano Cucchi e non avrebbero acquisito il registro originale dei foto-segnalamenti della caserma della Compagnia Roma Casilina, che era stato sbianchettato per occultare il nome di Stefano Cucchi, limitandosi ad acquisirne una copia), e infine Luca De Cianni per falso e calunnia (nel 2018, egli ha redatto un’annotazione di servizio in cui accusava falsamente il collega Riccardo Casamassima di aver chiesto ad Ilaria Cucchi dei soldi in cambio del racconto della verità sul pestaggio del fratello).
La prima udienza preliminare si è tenuta il 21 maggio 2019 e, il 16 luglio 2019, il GUP del Tribunale di Roma ha accolto tutte le richieste del PM e disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati.
Il processo per depistaggio ha visto la prima udienza il 12 novembre 2019, con comparizione delle parti civili costituite da Ministero della Difesa e Arma dei Carabinieri, nonché dal militare dell’Arma Riccardo Casamassima. In tale sede, il giudice monocratico Federico Bona Galvagno si è astenuto, su istanza del legale della famiglia Cucchi, in quanto carabiniere in congedo. Il processo è quindi proseguito il 16 dicembre 2019 con la giudice Giulia Cavallone, e nel gennaio 2020 il Ministero della Difesa è stato ammesso come responsabile civile nel processo, pur essendo parte civile. Dopo il decesso della giudice Cavallone, avvenuto il 17 aprile 2020, questa è stata sostituita dal dottor Roberto Nespeca.
Il 7 aprile 2022, il Tribunale di Roma ha dichiarato gli imputati colpevoli di tutti i reati a loro contestati e ha condannato Alessandro Casarsa a 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, Francesco Cavallo e Luciano Soligo a 4 anni di reclusione e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, Luca De Cianni a 2 anni e 6 mesi di reclusione, Tiziano Testarmata e Massimiliano Colombo Labriola a 1 anno e 9 mesi di reclusione (pena sospesa per entrambi) e Lorenzo Sabatino e Francesco Di Sano a 1 anno e 3 mesi di reclusione (pena sospesa per entrambi).
(Fonte Wikipedia)