Da Adnkronos
Sarebbero emerse, sul piano indiziario, “reiterate condotte omissive e commissive, da parte di un direttore dell’amministrazione penitenziaria e di un funzionario della polizia penitenziaria per acquisire la benevolenza dei detenuti per evitare difficoltà di gestione dell’istituto carcerario e pregiudizi di carriera” e per questo accusati di “concorso esterno rispetto ai sodalizi all’interno dell’istituto penitenziario”.
E’ quanto emerso dall’operazione di stamattina, con 38 indagati, nelle province di Catanzaro e Cosenza e in altre località del territorio nazionale, messa a segno dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Catanzaro e del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria con il supporto dei militari della Legione Carabinieri Calabria, appartenenti ai comandi territorialmente competenti, e del personale dei Nuclei investigativi regionali del Corpo della polizia penitenziaria.
Al centro delle indagini due presunti sodalizi criminali dediti allo spaccio di cocaina, hashish e marijuana in carcere e all’introduzione, utilizzo e vendita di cellulari e sim card. Tra gli arrestati ci sono anche un direttore dell’amministrazione penitenziaria, Angela Paravati, ex direttrice del carcere Caridi di Catanzaro, e alcuni agenti della penitenziaria.
“È emersa, altresì, sul piano indiziario – ricostruiscono i carabinieri in una nota – la condotta di un altro operante della polizia penitenziaria, che avrebbe ricevuto compensi da familiari di detenuti, riconosciuti vicini a famiglie e clan della criminalità organizzata siciliana e campana, per introdurre pacchi contenenti beni vietati, in cambio promesse di utilità economiche” e accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Accuse sono state mosse per altri agenti di polizia penitenziaria riguardo ai controlli sui pacchi in ingresso nel carcere e all’appropriazione di derrate alimentari.
Contestualmente è stato eseguito il sequestro preventivo, disposto dal gip, di carte prepagate che sarebbero state utilizzate da alcuni indagati per ricevere il denaro provento dalla vendita, o dalla cessione in uso, dei cellulari all’interno del carcere, nonché di una rivendita di tabacchi e di un negozio di telefonia gestiti da un imprenditore cosentino, che è ritenuto dagli inquirenti “organico all’associazione per delinquere finalizzata all’accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, che avrebbe attivato e fittiziamente intestato le schede telefoniche da consegnare ai detenuti”.