È partita dalle indagini dell’omicidio di Roberto Tizzano e del ferimento di Roberto Bruno – esponenti della batteria “Moretti-Pellegrino-Lanza” dell’organizzazione criminale “Societa’ foggiana” avvenuto il 29 ottobre 2016 – l’inchiesta “Game Over” che ha portato oggi all’arresto di 82 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti ed altri reati, aggravati dal metodo e dalla finalita’ mafiosa. Per il delitto di mafia sono stati condannati, in via definitiva, Patrizio Villani, Cosimo Damiano Sinesi e Francesco Sinesi, appartenenti alla batteria “Sinesi-Francavilla” antagonista di quelle delle vittime. Le sentenze avrebbero accertato che mandante dell’agguato era stato Francesco Sinesi, in risposta al tentato omicidio del 6 settembre del 2016, ai danni di suo padre Roberto Sinesi, capo storico dell’omonima batteria mafiosa. Il luogo del delitto, il bar “All’H24” alla periferia di Foggia, si e’ rilevato, nell’inchiesta Game Over, la base operativa centrale del traffico di sostanze stupefacenti. L’inchiesta si è concentrata sulle fonti di guadagno illecite dell’organizzazione criminale che, secondo le indagini, sono derivanti da due canali le sistematiche estorsioni, compiute ai danni al tessuto imprenditoriale e ricostruite nei dettagli dalle indagini Decimazione e Decimabis, praticate con lo scopo di far confluire i proventi illeciti nella “cassa comune”, utilizzata per il sostentamento, l’assistenza e la sopravvivenza del sodalizio mafioso e dal traffico di sostanze stupefacenti, messo a segno con aggressivo e minuzioso sistema di regole, che hanno garantito, ai vertici operativi del sodalizio, non a caso coincidenti con i vertici delle “batterie” mafiose, la possibilita’ di un controllo capillare e di una posizione di monopolio nella vendita della cocaina, attraverso l’imposizione dell’obbligo, a pena di pesanti ritorsioni anche armate, di commercializzare esclusivamente la sostanza stupefacente fornita dal sodalizio stesso. Tale imposizione, attuata con le caratteristiche tipiche delle organizzazioni mafiose, ha assicurato all’associazione consistenti profitti illeciti ed ulteriori 7 euro per ogni grammo di cocaina venduta a Foggia. Profitti, questi, utilizzati anche per alimentare la “cassa comune”, funzionale al perseguimento degli scopi criminali della “Societa’ Foggiana”. Secondo quanto emerso i delitti contestati sarebbero stati messi a segno con metodologie organizzative ed operative che ricalcano fedelmente quelle praticate in materia di estorsioni. Le tre batterie della “Societa’ Foggiana”, infatti, hanno esercitato la loro “pressione mafiosa” per la monopolizzazione del traffico di cocaina sul territorio cittadino. Per questo business l’organizzazione avrebbe pianificato dettagliatamente l’organizzazione del traffico di cocaina attraverso continue riunioni in cui sono state determinate rigide regole; ha imposto il monopolio della vendita di cocaina nella citta’ di Foggia, mediante una forza intimidatrice propria, derivante dal riconosciuto nonche’ temuto spessore criminale dei soggetti al vertice dell’organizzazione stessa, direttamente investiti dagli storici capoclan, che si sono avvalsi di una fitta rete informativa, utilizzata per controllare militarmente le “piazze” di spaccio. Il sodalizio, spiegano gli inquirenti, avrebbe immesso sul mercato cittadino considerevoli quantitativi di sostanze stupefacenti, stimati in circa 10 chilogrammi al mese di cocaina, acquistata ad un prezzo di poco inferiore ai 40 euro al grammo, poi rivenduta, a seconda dei casi, a 55 o 60 euro al grammo. I profitti realizzati dalla consorteria mafiosa sono quantificabili in almeno 200.000 euro al mese, e le dosi di cocaina immesse sulle piazze di spaccio corrispondono, invece, a circa 50.000 al mese. Inoltre il “cartello” avrebbe usufruito di depositi sorvegliati per la custodia ed il confezionamento della cocaina, “governando” le piazze di spaccio con una fitta rete di venditori, tutti pienamente consapevoli di operare illecitamente nell’ambito di contesto associativo asservito a scopi mafiosi inquadrati in vere e proprie “squadre operative” e ripartiti, secondo il livello operativo, nella “lista dei grossi” e nella “lista dei piccoli”, a cui venivano distribuiti con cadenza regolare quantitativi prestabiliti di cocaina, nell’ordine delle centinaia di grammi i primi e delle decine di grammi invece i secondi. Le tre batterie inoltre avrebbero mantenuto una minuziosa contabilita’ della droga distribuita alle “squadre di spaccio” e dei relativi corrispettivi realizzati, riscuotendoli mediante gli “addetti al giro inverso” presso gli spacciatori ed elaborando cosi’ vere e proprie “liste della contabilita'”, funzionali alla gestione del narcotraffico raccogliendo i profitti del traffico di droga e, in analogia con la gestione dei profitti delle estorsioni, avrebbe alimentato la “cassa comune”, utilizzata per distribuire i guadagni illeciti, assicurare somme ai sodali, denaro devoluto al mantenimento dei familiari ed accoliti in stato di detenzione, anche al fine di scoraggiare il fenomeno del pentitismo. Le tecniche investigative adoperate hanno messo in luce l’essenza e la natura dei vincoli che univano – a vario titolo – tutti i soggetti coinvolti nel core business del “Sistema”, vale a dire l’esercizio in forma “imprenditoriale” della cessione di cocaina. La strategia criminale dei componenti dell’organizzazione presupponeva – come e’ risultato da talune conversazioni chiare ed esplicite – la sussistenza “a monte” di un “pactum sceleris”, siglato dai capi storici dei clan componenti le batterie mafiose confederate nella “Società foggiana”. I metodi di gestione del traffico di stupefacenti (a cui gli stessi indagati avevano dato, a loro volta, il nome di “Sistema”), prevedevano l’attribuzione, all’interno del sodalizio, di ruoli ben definiti e per ciascuno dettagliatamente ricostruito agli esiti del vaglio del materiale investigativo raccolto. Le indagini cosi’ condotte dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e con il contributo della Direzione Nazionale Antimafia, che ha applicato un suo magistrato, hanno permesso di conoscere numerosi e dettagliati elementi caratterizzanti le complesse ed articolate dinamiche delittuose dell’organizzazione mafiosa, nonche’ i rapporti interni, non privi di conflittualita’ tra gli stessi indagati, l’accurato modus operandi utilizzato, la portata del traffico di stupefacenti commercializzato in regime di monopolio, controllato grazie al ricorso a metodi mafiosi, ed in ultimo anche la ripartizione e destinazione finale dei profitti illecitamente realizzati, per alimentare, senza soluzione di continuita’, il “Sistema” della “Societa’ foggiana”.