G7 Difesa, ma…dove arrivare? I punti

G7 Difesa, argomenti all’esame

Al via il summit Difesa sotto egida G7, sul tavolo: un conflitto in Europa, che sta cominciando a stancare, e una crisi in area strategica per l’occidente, il medio oriente, cui si aggiunge una sempre viva instabilità africana (cintura del Sahel e Sudan, per esempio), senza considerare i rischi potenziali su Taiwan.

g7 difesa ma dove dobbiamo arrivare il punto 1 Difesa Magazine

Gli argomenti, quindi, non mancheranno.

Probabilmente ci sarà anche tanto altro, dalla NATO alle proposte di difesa congiunta europea; anche accordi a latere, utili al networking tra Paesi, perché – sulla piazza – attirano sempre più le iniziative dei BRICS.

Interessante, infatti, come oramai non si può più affrontare il tema dei “paesi dall’economia emergente” con saccente sufficienza, tutt’altro, cresce l’attesa per il vertice a Kazan, perché oramai i Paesi che aspirano a entrare in questa realtà sono almeno una quarantina, e l’iniziativa è sostanzialmente a guida Russo-Cinese.

L’Africa, ricorda nei suoi interventi Matteo Giusti, ha una generazione che vuole scegliere, vuole aprirsi e rompere con il passato, quindi affrancarsi da un passato sudditaneo ai diktat francesi.

Certamente, il Sahel ha scelto la strada più violenta, quella del colpo di stato, ancorandosi alla Russia e confederandosi (Mali, Niger, Burkina), su questa scia, fininendo, come ha conosciuto il Mali, nel vortice della guerra contro l’ucraina.

Altre realtà, come il Senegal, arrivano al medesimo risultato, forse, ma con libere elezioni.

E le Nazioni Unite? Magari qualche domanda sulla loro funzionalità occorrerebbe portarla seriamente avanti: “affaire UNIFIL” (con aggressioni vicino a basi italiane), stallo del Consiglio di Sicurezza, sostanziale e pragmatica inutilità delle decisioni assunte dall’Assemblea Generale, insegnano.

Perplessità vs certezze

Nel susseguirsi dei mesi, in quest’ultimo anno, si è scritto tanto – anche su questo portale – di sortite della Russia, del fallimento della campagna di primavera ucraina, la quale ha avuto un fugace, ma intenso, sussulto solo dopo il vertice NATO di Washington, dove Kiev ha guadagnato terreno sul suolo di Mosca, “contro-invadendola“. Misero – come noto – era stato il risultato del congresso svizzero di pace, anche perché la grande assente era la Russia, l’ovvia controparte.

Parallelamente sono state le elezioni negli USA ad aver tenuto banco, forse nemmeno tanto per la qualità del contendere ma per un revival di violenza interna, al netto delle fake news a corollario (certo, fosse facile ora riconoscerle, mica tutte interessano i gatti cucinati dai migranti haitiani).

Anche perché, in Europa, era appena terminata l’apprensione verso una “deriva a destra” della Francia, che, comunque, con buona pace di tutti, in effetti si è avuta, basti pensare alla difficoltà di Macron di metter su un esecutivo e ora di gestire la politica interna. Senza contare i numeri, che sono cosa ben diversa dalla disposizione dei seggi in Parlamento, dovuti invece a una sintesi da legge elettorale ma non necessariamente pari alla reale fotografia del paese.

Ma l’attenzione dello spettatore è subito distolta dalla crisi di Gaza.

Anzi, no, dalle crisi che attanagliano, ora, tutto il medio oriente, dopo i raid ad ampio spettro di Netanyahu.

Israele, dal pogrom del 7 ottobre 2023, è giunta a una prima eliminazione del vertice di Hamas, passando poi ad attacchi mirati contro i miliziani di hezbollah, quindi al decapitare i vertici di quel “partito combattente” libanese, fino a lambire un conflitto diretto tra con l’Iran, continuando nel colpire Yemen e Siria. Intanto si scopre che l’instabilità sudanese potrebbe essere il focolare di un nuovo proxy per Teheran.

Bene, e quindi? “Nulla di che” (o quasi, ndr), si prosegue con notizie alla giornata, arrivando all’eliminazione del nuovo uomo forte di Hamas, dello scorso martedì sera, che rimette tutto in discussione, tranne la leadership di “Bibi” Netanyahu.

A prescindere che, tutto quanto fin qui scritto, potrebbe essere sintetizzato alla luce di testi di sociologia della devianza e di psicologia applicata, considerando la paura verso il diverso e gli ovvi scontri tra gruppi che si percepiscono antagonisti, quindi non solo di geopolitica, ma il punto è proprio questo, l’andamento della geopolitica dei giorni nostri, argomento ideale per un vertice G7, specie se interessa temi affini alla difesa.

g7

…e il futuro?

Le traiettorie sono varie e anche ampie, senza omettere il fattore “tempo”: il 5 novembre 2024 si terranno, infatti, le elezioni del Presidente USA, e la leadership oltreoceano è molto appannata in questo frangente.

Biden rappresenta una figura indubbiamente “azzoppata“. Leader dileggiato per le sue performance non esattamente consone per la statura politica, non è riuscito a imporre una propria visione all’alleato israeliano che, di contro, ha centrato obiettivi militari di ottimo livello (si pensi al decapitati vertici di Hamas ed Hezbollah, citati) ma senza una chiara visione sul come terminare il conflitto.

Conflitto che ha comportato, per il contribuente USA, il più importante esborso della storia, in termini di armamenti, a supporto di Israele, stante l’impegno assunto anche verso l’Ucraina.

Kamala Herris, dai palchi calcati, promette discontinuità rispetto al predecessore. In effetti era attesa una descalation in M.O. invece…

Musk, ora appoggia le comunicazioni russe, tramite starlink, ed è ora uomo di punta (e finanziatore) di Trump.

Quindi la campagna Trump-Harris potrà essere influenzata dalla geopolitica? Sicuramente si, anche considerando l’Ucraina, e quindi la NATO.

Tirando le fila, Israele ha come obiettivo dichiarato il recupero degli ostaggi; l’Ucraina il ricacciare gli invasori dalle terre occupate. Tutto possibile? No.

Unica soluzione per l’Ucraina potrebbe essere la sua adesione alla NATO, mentre per l’UE è oggettivamente difficile considerando la limitazione di tutti i suoi pilastri interni: è un paese che prima dovrà affrontare una ricostruzione, quindi con debito già elevato. L’ombrello NATO potrebbe essere unico deterrente futuro da possibili attacchi, certo un ridimensionamento territoriale sarà costretta ad affrontarlo, Kiev, rappresentando un superamento di Minsk. Improponibile il proseguire con un conflitto di posizione, considerando la presenza di altrimenti assurde regole di ingaggio circa l’impiego di armi contro la Russia.

Israele dovrà affrontare l’ipotesi, tutt’altro che remota, di non rivedere gli ostaggi. Già era difficile prima, ora, dopo la polverizzazione di Gaza, l’incattivirsi della Cisgiordania, un crescente sentimento anti ebraico, la continua eliminazione di nuovi vertici di Hamas, ancor di più.

Gli ostaggi possono essere stati affidati a gruppi della galassia jihadista, essere stati terminati in epoca successiva al sequestro, uccisi durante i frequenti raid dalla stessa Israele, è la narrativa della politica interna di “Bibi” che deve cambiare, non può combattere in eterno. Già dopo la crisi con UNIFIL molti sono i paesi che richiamano una moratoria sulle armi a Tel Aviv.

I paesi arabi attendono, senza prendere una posizione netta, elimazione di vertici Hezbollah è stata oggettivamente ben accolta nelle loro piazze. Stante che su tanti tavoli giocano con ruoli di primo piano sia Doha che Ankara, paesi non esattamente “specchiati”).

Si pensi al soft power di Doha, incentrato sullo sport, e la spregiudicatezza dell’Europa gate, ma ospita l’ala politica di Hamas; Ankara attende ingresso in EU, non convintamente, perchè meglio introitare per la vigilanza alle sue frontiere, è paese NATO, partecipa a tutte le missioni internazionali e penetra l’Africa non meno di Russia e Cina, dialogando con Russia e Ucraina.

Già…

Benvenuto al G7 Difesa.