All’indomani del vertice di Parigi i fari della politica internazionale si spostano altrove: i protagonisti tornano a essere (stile post seconda GM) l’americano e il russo.
Di vertice in vertice la politica internazionale si scopre debole
Il vertice di Parigi ha, probabilmente, più una valenza interna, in termini di importanza politica, specie per Macron, che non un reale respiro Internazionale.
Come anticipato, non ci sarebbero stati, al termine del consesso, dichiarazioni corali, certamente i singoli partecipanti avrebbero poi parlato ai propri elettori, spiegando le ragioni del proprio punto di vista.
Infatti, forse proprio grazie a quest’ultima fase, si è potuta registrare la reprimenda dell’ex Premier, Mario Draghi: “la sicurezza europea è frastagliata e debole“.
Il tema è sempre lo stesso: il legislatore UE, la classe politica UE, deve porsi nelle condizioni di operare, ad ampio spettro, senza contare sull’aiuto USA, anche perché le ondivaghe, umorali, politiche di Trump, che comunque perseguono (ovviamente) differenti interessi nazionali, non sono garanzia di duraturi accordi. L’americano, infatti, sembra perseguire una sorta di dottrine Monroe 2.0, non vi è spazio per l’Europa nei suoi orizzonti, ma solo il suo continente e l’indo-pacifico, come quadrante, si vedrà in Africa, dove la presa russa, cinese e turca è sempre maggiore.
Allo stato, se si facesse un sunto tra incontro di Parigi e quello di Riyadh, si comprenderebbe come, concretamente, sull’Ucraina, non si siano incontrati chi ha contribuito economicamente (UE) e chi militarmente (USA), ma, cosa che “stona” ancora di più è la natura stessa del Vertice di Parigi: una presa di coscienza del non essere un decision making.

Questo di Parigi non era un consesso corale per UE. Erano 16 i rappresentanti, tra capi di Stato/Governo, Commissione, ma anche NATO, sembrava quasi una sorta di G7 “allargato” ma senza però, nenanche questo, esserlo. In questo contesto (anche) nascono le critiche di Mario Draghi alle politiche dell’Unione, lo sprone a ragionare come se fosse unico Stato.
Il problema? I meccanismi decionali UE e la (ovvia) mancata convergenza di più interessi nazionali che si riflette su scontri dialettici e rappresentanza in Unione, esempio tra tutti: la immigrazione. A questo si aggiunge il tema sicurezza, si arriverà concretamente a concepire l’idea di una forza armata sovranazionale? Ora sarebbe il momento opportuno, considerando che la politica di Trump è quella del disimpegno, la NATO potrà mai resistere ai potenziali urti del tycoon americano?
L’americano, l’ucraino e il russo

Se Putin fa sapere, tramite Lavrov, a Riyadh, di non gradire pacekeeper UE, considerando l’apporto “continentale” fornito al conflitto, Trump si dice (ovviamente) favorevole, fermo restando che ribadisce che non sarà sua intenzione abbandonare la basi USA in Europa ma che non uno scarpone di marines andrà in Ucraina.
Il susseguirsi di dichiarazioni, come quelle di funzionari USA che auspicano la presenza UE in futuro, ai tavoli con la Russia, presagiscono una sorta di replica dell’Afghanistan, dove, si ricorderà, l’americano Trump “ha staccato la spina” al governo di Kabul e alla missione internazionale in essere, dialogando direttamente con i tabelani e quindi disimpegnsndosi da quell’area.
In questo contesto, come già visto nelle ultime 48h, la disinformazione russa lavora a mani basse, andando a insinuarsi nelle palesi frastagliature politiche nazionali, prendendo di mira Mattarella (equilibrata risposta del Quirinale, in punta di diritto internazionale), facendo da sponda alla dialettica dell’opposizione parlamentare.