Depositate nei giorni scorsi le sentenze con le quali la Suprema Corte di Cassazione getta una luce sul regime di acquisizione della prova all’estero, nel caso di comunicazioni criptate.
Trojan e comunicazioni criptate: interviene la Cassazione
Le Sezioni Unite penali con due sentenze – che potrebbero essere definite “storiche”, per alcuni versi – accantonano un orientamento precedente, quello che vuole l’acquisizione delle risultanze da comunicazioni criptate (piattaforma o criptofonino) possibile ex art. 234 bis c.p.p.
Il tema della controversia? L’acquisizione di dati nell’ambito di investigazioni contro la criminalità organizzata, rese possibili grazie a ordine europeo di indagine.
In realtà, le sentenze “gemelle”, n. 23755 e 23756, depositate il 14.06.2024, chiariscono un po’ di cose:
- non è necessaria una preventiva autorizzazione da parte di un Giudice, circa l’acquisizione di documentazione di provenienza da altro procedimento (intendendo da A.G. di Stato estero di esecuzione, ndr.), giacché questa è già una possibilità appannaggio della pubblica accusa.
- Non vi è nessuna violazione se la mole di dati acquisita è notevole. Prescindendo dalla privacy, non vi è riscontro nella giurisprudenza UE di limiti quantitativi circa l’acquisizione informativa.
- Non vi è inviolabilità del domicilio. Le sentenze sono dirimenti in punta di logica e diritto, autorizzare intercettazione significa anche autorizzare le attività a latere, come la decrittazione di comunicazioni criptate.
- “Non può ritenersi che l’inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma di un sistema informatico o telematico costituisca mezzo “atipico” di indagine o prova“. Le SS.UU. osservano che il caaptatore “non è un autonomo mezzo di ricerca della prova e tantomeno un mezzo di prova, ma uno strumento tecnico attraverso il quale esperire il mezzo di ricerca della prova costituta dalle intercettazioni di comunicazione o conversazioni”.