Il 16 gennaio tutti i Carabinieri erano idealmente a Palermo, in quella clinica.

Nessun trionfalismo, semplicemente una rinnovata consapevolezza di capacità e azione.

L’editoriale

E come ogni grande evento che accade vi sono sempre tanti pensieri, critiche, commenti, analisi e retroscena che riempiono giornali e discussioni da salotto. Alla fine, però, c’è un solo dato di fatto, uno solo, ed è il più concreto: il 16 gennaio 2023 Matteo Messina Denaro è stato catturato e ora è in carcere. Ci sono voluti 30 anni e tanti vani tentativi e, soprattutto, morti. Come ad esempio Filippo Salvi, morto in servizio per piazzare una telecamera e lo scopo era lo stesso delle ore scorse: prendere la primula rossa. Ecco allora la migliore risposta ai complottisti, a coloro che non vedono i 4 miliardi di euro sequestrati in questi anni ai familiari del boss di Castelvetrano, al terreno bruciato fatto intorno a un ricercato, come insegna il “metodo Dalla Chiesa”. Certo si può pensare a qualche consigliere dell’apparato che fu, ma non si deve assolutamente dubitare, come sta facendo qualche analista da bar, di coloro che due giorni fa hanno messo fine alla latitanza del ricercato numero uno. E’ vero, il cerchio si è ristretto negli ultimi mesi ma soprattutto le direttrici si sono allineate sullo stesso punto. Un cerchio che l’Arma ha aperto e chiuso in piena autonomia e con la massima efficienza, tornando a fare quello che faceva un tempo: l’Arma. Libertà d’azione, fiducia, coesione, massima esposizione delle proprie capacità e strategia tradizionale abbinata alle innovazioni. Una assoluta abilità di partire dai fascicoli giudiziari e finire al carcere dell’Aquila impiegando tutte le articolazioni. Abbiamo visto un lavoro in cui tutti i Carabinieri, tutti, hanno partecipato. Oltre 110 mila unità erano idealmente lì, in quella clinica, mentre praticamente operavano le teste di cuoio, il ROS, la territoriale e si preparavano a entrare in scena, in un secondo momento, gli elicotteristi per il trasporto del detenuto e il RIS per ricostruire il DNA sociale dell’ex rais di cosa nostra. Una macchina che ha mostrato, come non faceva da anni, che quando si mette in moto apre e chiude un capitolo e questo, certamente, resterà un capitolo importante nel volume di storia contemporanea sull’Italia. Non a caso, in pochi secondi, la notizia è balzata sulle prime pagine di tutto il mondo e ha avuto la giusta risonanza che meritava e merita, proporzionalmente, la Memoria del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido a 12 anni. Ma dobbiamo credere che si sia giunti a questo arresto anche grazie a una rinnovata fiducia interna che mancava all’Arma da tempo. Una fiducia che parte dal primo rappresentante dei Carabinieri e si conclude con l’ultimo militare. Un equilibrio che ha garantito una linea di comando libera e serena di operare e che rappresenta una ulteriore direttrice che si è allineata, appunto, per ottenere il risultato raggiunto. Nessun trionfalismo, nessuna amplificazione, semplicemente un’ulteriore affermazione di cui i Carabinieri e gli italiani, avevano bisogno.