La situazione della libertà giornalistica in Turchia rappresenta un caso esemplare di regressione democratica, in cui la stampa è stata deliberatamente ridotta al silenzio per consolidare il potere politico. Tuttavia, il coraggio e la resilienza di molti professionisti del settore dimostrano che il giornalismo, anche se ferito, continua a esistere come baluardo di verità e resistenza.
Turchia, un caso emblematico di repressione sistemica

La Turchia, pur essendo formalmente una repubblica democratica e laica, ha vissuto nella sua storia numerosi periodi di restrizione delle libertà civili, in particolare nei confronti della stampa. Tuttavia, il deterioramento più grave e sistematico della libertà giornalistica si è verificato durante e dopo la lunga leadership di Recep Tayyip Erdoğan, soprattutto a partire dal tentato colpo di stato del 15 luglio 2016.
Quell’evento ha segnato un punto di non ritorno: il governo ha imposto lo stato d’emergenza, giustificandolo con la necessità di contrastare il terrorismo e le forze golpiste. Nei fatti, però, la repressione ha colpito duramente oppositori politici, accademici, magistrati e giornalisti.
La principale arma utilizzata dal governo per colpire i giornalisti è il sistema giudiziario, manipolato per criminalizzare il dissenso. Tra le leggi più abusate vi sono:
- Articolo 301 del Codice Penale: punisce chi “insulta la Turchia, la nazione turca o le istituzioni dello Stato”.
- Leggi antiterrorismo: usate in modo estensivo per accusare i giornalisti di “sostegno a organizzazioni terroristiche”, anche solo per aver dato voce a gruppi di opposizione o pubblicato inchieste scomode.
- Legge sulla censura digitale (2020): ha rafforzato il controllo dello Stato sulle piattaforme online, imponendo la rimozione di contenuti considerati “illegali” entro 24 ore.
Queste leggi creano un quadro normativo volutamente vago e repressivo, che consente arresti arbitrari, lunghe detenzioni preventive e processi-farsa.
Secondo i dati di Reporters Sans Frontières e del Committee to Protect Journalists:
- Nel 2020, la Turchia era il paese con il maggior numero di giornalisti incarcerati al mondo.
- Più di 150 media sono stati chiusi dopo il 2016, tra cui agenzie di stampa curde, giornali laici, e TV critiche.• Centinaia di giornalisti sono stati costretti all’esilio o hanno perso il lavoro.
Tra i casi simbolo troviamo:
- Ahmet Altan, scrittore e giornalista arrestato nel 2016, liberato nel 2021 dopo anni di pressioni internazionali;
- Nedim Şener e Ahmet Şık, accusati di “sovversione” solo per aver scritto libri inchiesta.
Il controllo diretto e indiretto dei media da parte del governo è un altro elemento centrale. Gran parte delle principali testate giornalistiche e reti televisive turche è in mano a conglomerati industriali legati all’AKP, il partito di Erdoğan.
L’informazione è dunque filtrata, orientata e strumentalizzata per rafforzare il potere. I giornalisti sono spesso costretti a scegliere tra la complicità e il silenzio, o la persecuzione.
Nel frattempo, l’autocensura si è radicata profondamente anche tra chi non è esplicitamente allineato col potere, per timore di licenziamenti, denunce o ritorsioni personali. Le istituzioni europee, l’ONU e diverse ONG hanno condannato più volte la deriva autoritaria della Turchia. Tuttavia, le relazioni geopolitiche complesse, come la gestione dei rifugiati siriani o gli interessi economici e militari, hanno spesso portato l’Unione Europea e la NATO a evitare sanzioni reali o pressioni efficaci.
In pratica, la difesa della libertà di stampa è rimasta spesso nelle mani delle ONG, delle comunità accademiche e della società civile, dentro e fuori la Turchia.
Nonostante tutto, il giornalismo indipendente non è scomparso. Piattaforme digitali, blog, radio clandestine e testate online come Bianet, Duvar o Ahval continuano a fare informazione critica, spesso con il supporto della diaspora turca in Europa.
Inoltre, le nuove generazioni di giornalisti formano reti solidali, partecipano a corsi internazionali e si mobilitano per una stampa libera, pluralista e professionale, anche in condizioni difficili.
Cristina Di Silvio, esperta rel. Internazionali.