La caserma di Modena era un lager. Lo Stato Maggiore dell’Esercito dia una risposta.

La caserma di Modena era un lager

Non è il vox populi ma sono i capi di accusa ascritti negli atti della Procura di Modena. Su questo portale siamo abituati ad elogiare donne e uomini che onorano la divisa e si spendono, quotidianamente, per questo Paese. Quando però scopriamo che ben 11 professionisti del glorioso Esercito Italiano sono stati costretti a ricorrere alla magistratura perché vessati, offesi, maltrattati da “un eroe” nel suo piccolo feudo, allora non possiamo che dare voce a questi 11 ragazzi, affinché tutti sappiano e si alzi l’attenzione su altri potenziali “lager” che riaccendono lo spettro della naja e gettano cattiva luce su una Istituzione che parla di formazione continua, professionisti e soldati 3.0.

Non è ammissibile nel 2024, non si può tollerare e non si tratta di temprare il carattere o preparare le donne e gli uomini alla guerra. NO! La dottrina militare insegna altro e si impara a combattere e sopravvivere senza parlare di culi, scopate o minacciando trasferimenti. Non è goliardia ma mancanza di abilità di comando.

A quel che si legge agli atti il T.Col. Cati rappresenta l’antitesi dell’ufficiale di cavalleria. Un’arma che eredita usi, arti e costumi della nobiltà.

Saremo pronti a cancellare tutto, rispettare il diritto all’oblio e chiedere scusa pubblicamente, semmai dovessero cadere i capi di accusa. Per ora rispettiamo la sofferenza degli 11 professionisti che hanno convissuto per anni col malessere.

Giampaolo Cati
Giampaolo Cati

La caserma di Modena era un Lager

«FACEVA BATTUTE SUL MIO LATO B E MI MOSTRAVA FOTO HARD»

Dall’articolo di Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”

Era lei la «ragazza immagine» dell’Accademia. Nella società dell’apparenza c’è chi ne farebbe un punto di vanto. V. L. no, perché il suo sogno era un altro: fare l’ufficiale dell’Esercito. «Ma in questi tre anni mi sono sentita solo usata ed etichettata per il mio aspetto fisico», racconta delusa la soldatessa che lavorava al Centro ippico militare dell’Accademia di Modena. «Il comandante mi avrebbe voluto mettere alla porta d’ingresso del Centro, diceva che così le persone sarebbero tornate per montare a cavallo e che era l’impiego più adatto a me».

Lei spazzava, puliva, obbediva. «“Vai in Accademia a prendere il registro del colonnello così almeno fai contenti tutti”, mi ha detto una volta… oppure, mentre parlava al telefono con i suoi colleghi, ridacchiando: “Sai chi ti sto mandando? V., almeno il registro me lo firmi subito”… Più volte l’ho sentito dire ad altri ufficiali “Lei ce l’abbiamo solo noi… guarda lì”, mentre ero piegata per pulire gli zoccoli del cavallo e quindi si riferiva chiaramente al mio sedere. Mi ha imbarazzata e offesa».

V. è una delle soldatesse che ha denunciato il comandante del Centro, il tenente colonnello dell’Esercito Giampaolo Cati, ora indagato dalla Procura di Modena per stalking, violenza privata e abuso di autorità. Con lei, a sottoscrivere le accuse, altre tre colleghe e pure sette colleghi, tutti naturalmente sottoposti dell’ufficiale.

V. ha 28 anni ed è un po’ la supertestimone dell’indagine. Ha dichiarato a verbale che talvolta lui le scattava delle foto a sorpresa: «A una festa di compleanno di un capitano, organizzata al Centro ippico, mentre mi trovavo dietro il bancone dello spaccio, lui me ne ha fatta una alle spalle. Io me ne sono accorta e, infastidita, gli ho detto che non si doveva permettere…».

V. è una delle soldatesse che ha denunciato il comandante del Centro, il tenente colonnello dell’Esercito Giampaolo Cati, ora indagato dalla Procura di Modena per stalking, violenza privata e abuso di autorità. Con lei, a sottoscrivere le accuse, altre tre colleghe e pure sette colleghi, tutti naturalmente sottoposti dell’ufficiale.

V. ha 28 anni ed è un po’ la supertestimone dell’indagine. Ha dichiarato a verbale che talvolta lui le scattava delle foto a sorpresa: «A una festa di compleanno di un capitano, organizzata al Centro ippico, mentre mi trovavo dietro il bancone dello spaccio, lui me ne ha fatta una alle spalle. Io me ne sono accorta e, infastidita, gli ho detto che non si doveva permettere…».

Ricorda certe espressioni non proprio gratificanti: «Ne cito solo alcune: “Sei un’incapace”, “ti sdrumo”…». E le feste al maneggio: «Organizzate da lui, private e informali, e poi, in piena notte, mi ritrovavo a pulire con una mia collega». […]  Ma tutto ciò che ho vissuto in questi tre anni è molto lontano da ciò che immaginavo». E così si è congedata.

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la caserma di Modena era un lager

“HA UN BEL SEDERE, PORTI IL CAFFÈ”

Dall’articolo di Giuseppe Scarpa per “La Repubblica”

[…] Il tenente colonnello Giampaolo Cati, 44 anni, si comportava come un piccolo dittatore. Le sue vittime non erano solo le donne: ne aveva per tutti. Il suo motto era: «Distruggere per avere il controllo», come ha raccontato uno degli undici militari — quattro donne e sette uomini — vessati dall’alto ufficiale per più di un decennio.

[…]

Per l’alto ufficiale il centro ippico era suo, non dell’esercito. Lo hanno raccontato due soldatesse ai magistrati in una lunga deposizione. «Utilizza il Cim per organizzare feste private per suo piacere. Mi sono ritrovata a dover ripulire e sistemare il locale spaccio lasciato in pessime condizioni dopo questi festini ».

E ancora, «la figlia del tenente colonnello è costantemente e perennemente all’interno dell’installazione militare, si muove e padroneggia i cavalli come se fosse la padrona di casa, ma d’altronde glielo ha permesso il padre. I migliori cavalli che abbiamo in scuderia devono essere a suo uso esclusivo».

GIAMPAOLO CATI

La strategia del terrore «Alcuni ragazzi — ha riferito un sergente agli inquirenti — cercavano di aggrapparsi a me come figura e mi ritrovavo a vederli piangere dalla disperazione. Mi dicevano di star male, di non dormire, di essere costantemente minacciati da Cati sull’andamento dei loro concorsi. Diceva loro che tramite le sue conoscenze li avrebbe distrutti e avrebbe interrotto qualsiasi loro prospettiva futura. Io mi facevo portavoce con lui di tali problemi spiegandogli che c’era un brutto clima nel plotone, che i soldati stavano male psicologicamente, che erano stanchi, avevano bisogno di licenze, riposo. Questa fu la sua risposta: “Se il clima non ti piace vattene, qui comando io e si fa come dico io”». […]