Non posso pronunciarmi a nome di tutti gli italiani ma sono certo di poter parlare a nome dei Carabinieri, sicuramente quelli del SIM che rappresento. Queste ore trascorse dalla sentenza d’Appello della Suprema Corte, che ha riaperto l’assassinio di suo marito e nostro collega V.B. Mario Cerciello Rega, sono state lunghe e piene di riflessioni. Non siamo arrabbiati ma delusi!
Delusi perché, come spesso accade, in questo Paese possiamo aspettarci di tutto, soprattutto quando in gioco entrano determinati attori. E allora, se tutti eravamo ancorati alla strutturata accusa della dottoressa Francesca Loy che determinava un aspetto ineccepibile, unico dato di fatto, cioè la morte di un ragazzo avvenuta con 11 coltellate in soli 20 secondi, il verdetto, poi, ci ha riportato a fare i conti con le pratiche di una giustizia italiana che, grazie a Dio, non rappresenta il popolo italiano, non rappresenta il comune sentire verso Mario e verso chi ha assassinato Mario. Sempre in queste ore leggo di rinnovata speranza da parte dei due rei, di riapertura di un percorso che ribalta l’accusa, di fiducia da parte dei genitori dei due americani.
“Mario è stato ucciso perché gli ingenui ragazzi non avevano capito che si trattava di un carabiniere” come se in Italia essere carabiniere o un operaio rappresenta una aggravante a undici, ripeto undici, coltellate. Undici coltellate che danno bene l’idea dell’azione violenta attuata. Una ferocia che per i membri della Suprema Corte sarebbe stata causata dal fatto che Mario non si sarebbe qualificato, altrimenti, penso, anziché undici le coltellate sarebbero state forse nove.
La verità è che Mario è morto. Mario è stato ucciso. Mario non si sveglia al suo fianco e non va più a fare il suo mestiere tra la gente. Lo sappiamo tutti, lo sanno gli italiani che hanno ben chiaro quello che è successo e non perché lo hanno detto i giornali, ma perché il sangue di Mario è rimasto per ore su quel fazzoletto di strada. E allora noi Carabinieri viviamo la sua stessa amarezza, il suo stesso sconforto. Allo stesso tempo, come nelle migliori comunità, ci stringiamo intorno a lei e la sosteniamo nella sua lotta anche senza una giustizia a favore e contro apparati più grandi.
Signora Cerciello Rega noi possiamo perdere anche le speranze ma non dobbiamo perdere il sentimento comune che proviamo in queste ore e che resta, ne sono certo, la migliore risposta a una giustizia sorda, assente e lontana dai valori di questo Paese. Gli stessi valori che Mario esercitava.