Celebrazione a Gorizia sede degli operatori del XIII
Sì è svolta alla caserma Cascino di Gorizia, sede del XIII Reggimento Friuli Venezia Giulia, la celebrazione del 25° anniversario dell’inizio della Missione “Multinational Specialized Unit – Msu” in Bosnia Herzegovina.
All’evento ha partecipato il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Teo Luzi.
Nel corso della cerimonia commemorativa dell’inizio di quella missione, il Comandante Generale Teo Luzi ha ricordato come l’Arma dei Carabinieri sia stata l’ispiratrice e la protagonista concreta del sostanziale mutamento nella caratterizzazione e nelle modalità operative delle forze di polizia multinazionali.
Il Vertice dell’Arma ha voluto poi esprimere la propria gratitudine e quella dell’intera Istituzione ai 386 Carabinieri che attualmente si trovano schierati nelle 22 missioni operative, in 16 Teatri, tenendo alto il prestigio dell’Arma e della Difesa italiana nel mondo. A questi se ne aggiungono altri 500 chiamati a garantire la sicurezza in oltre 200 sedi diplomatiche all’estero, di cui 21 considerate a rischio.
Attualmente la MSU opera in Kosovo
MSU
Nel 1998, con la formazione della Msu (Multinational Specialized Unit, Unità Multinazionale Specializzata), una importante svolta viene attuata nei presupposti concettuali della formazione e dell’impiego di Forze di Polizia multinazionali. L’Arma dei Carabinieri è stata l’ispiratrice e la protagonista concreta del sostanziale mutamento nella caratterizzazione e nelle modalità operative di quelle Polizie.
La Msu ha costituito, e costituisce ancora, un elemento di assoluta novità nel quadro delle operazioni a supporto della pace: è una unità con compiti sicuramente complessi e articolati, una commistione di incombenze di forza militare e di polizia civile in un territorio con etnie diverse, soprattutto sostanzialmente armate, che solo Forze di Polizia a ordinamento militare sono professionalmente preparate ad affrontare.
Ad imporla fu il clima socio-politico che si era creato in Bosnia.
Nonostante la prolungata presenza di truppe straniere e organi di Polizia multinazionale, la situazione in Bosnia-Erzegovina diveniva sempre più instabile, anche a causa di una criminalità organizzata, dalle complesse ramificazioni, finanziariamente molto forte, che in qualche modo influenzava le vicende politiche del territorio e inquinava profondamente il tessuto economico e sociale della popolazione.
La Polizia locale bosniaca, etnicamente composta e orientata, era quella che, ai termini del General Framework Agreement for Peace (Gfap, Accordo Quadro Generale per la Pace) del 1995, aveva la responsabilità di controllare il rispetto della legalità. Però, per la corruzione largamente diffusa, per la tolleranza delle autorità politiche che istituzionalmente ne esercitavano il controllo, per pregiudizi etnici, per lo scarso livello di addestramento, equipaggiamento e organizzazione, era assolutamente incapace di mantenere l’ordine pubblico e di far osservare le leggi.
La Stabilization Force (Sfor, Forza di Stabilizzazione) e la International Police Task Force (Iptf, Forza Speciale di Polizia Internazionale) non riuscivano ad assolvere totalmente al proprio difficile mandato.
Vi era un vuoto di competenze, con riflessi sul livello operativo, derivante dai diversi compiti istituzionali di Sfor e di Iptf; vuoto che impediva di preparare efficacemente in Bosnia le premesse ad una stabilità necessaria per i Balcani e per l’Europa stessa: la Sfor, come Forza militare, non era addestrata per gestire situazioni civili di crisi e la Iptf non aveva alcun compito operativo, in quanto doveva solamente monitorare e istruire la Polizia locale, agendo disarmata.
La situazione contingente lasciava spazio a chi non desiderava il ritorno della piena legalità, per fomentare disordini e perpetuare condizioni di facile sviluppo delle attività criminali e di illeciti guadagni. Soprattutto, non si riusciva a passare alla fase cosiddetta del processo di “autoalimentazione” della pace.
Presa coscienza della situazione, e allo scopo di migliorare la presenza multinazionale in Bosnia, in una riunione del 20 febbraio 1998 i sedici Ministri degli Affari Esteri della Nato decidevano di creare una unità di pubblica sicurezza per i casi di emergenza: una Forza di Polizia professionale, a ordinamento militare, particolarmente addestrata per operare in situazioni civili di grande instabilità.
Veniva così autorizzata la costituzione di una Msu, formazione a livello di reggimento, da porre alle dirette dipendenze del Comandante delle Operazioni della Follow on Force (Fof, lett.: Forza successiva) in Bosnia-Erzegovina: quella Forza ridotta e con alcune differenze di mandato che avrebbe dovuto sostituire quanto prima la Sfor, nel tentativo di stabilizzare l’area con sempre più finalizzate forme di intervento militare multinazionale, nell’ambito dell’Operazione Joint Forge.
In realtà la Sfor fu sostituita dalla Fof, che però mantenne il nome di Sfor: continuò e continua ad essere presente in Bosnia, dando il suo supporto alla realizzazione di quanto concordato nel Gfap, per gli aspetti civili dell’applicazione dell’Accordo.
Il mandato della Forza è stato esteso e sono state grandemente potenziate le sue capacità relative al mantenimento dell’ordine pubblico, proprio con la costituzione della Msu, che in un primo momento progettuale venne chiamata Police Civil Response Force (Pcrf, Forza di Polizia Civile di Intervento).
La Msu doveva dare il suo contribuito a Sfor, fornendo una professionalità militare specializzata nel campo della sicurezza pubblica.
Nell’ambito delle Polizie Civili multinazionali, questa Forza di Polizia multinazionale sarebbe stata caratterizzata da tre novità importanti: la prima, una mobilità e una duttilità di impiego notevolissima per la sua costituzione di nuova progettazione e le sue modalità operative; la seconda: avrebbe avuto anche poteri ufficiali di investigazione, in un quadro chiaro di fonti giuridiche, di campi d’applicazione, di limiti e procedure.
Per contrastare gli elementi dissonanti nel contesto serbo-bosniaco, mantenere l’ordine pubblico, assicurare una progressiva stabilità e il relativo ritorno alla legalità, erano e sono indispensabili la raccolta e la valutazione delle informazioni, le indagini sulle attività criminali, le investigazioni e le operazioni speciali.
È anche necessario ricostruire il tessuto umano della società, stimolando il rientro dei profughi e garantendo una condizione di sicurezza per lo svolgimento di libere elezioni, così da favorire l’insediamento di un Governo locale. Un’attività infomativa chiaramente delineata e correttamente usata è uno strumento di lavoro prezioso per il mantenimento di una stabilità sociale.
La terza novità fu che, conseguentemente alle sue caratteristiche di impiego, questa Forza avrebbe avuto un addestramento antisommossa e un equipaggiamento adeguato, per intervenire nelle situazioni di crisi a connotato civile.
Già alla fine del 1997 l’Arma, per le sue caratteristiche istituzionali e per la generale stima goduta a livello internazionale, consolidata in un gran numero di brillanti operazioni all’estero, fu coinvolta in prima istanza dagli Alti Comandi della Nato nella progettazione della nuova Forza, di cui era in realtà l’ispiratrice.
Non si trattò più solamente di partecipare a formazioni con compiti e caratteristiche già decise altrove. L’Italia, e quindi l’Arma, quale sua espressione professionalmente indicata per tale compito, partecipava alla costruzione concettuale, ordinativa e alla organizzazione operativa di una speciale Forza di Polizia internazionale di assoluta nuova concezione.
Un Reparto di carabinieri ne doveva formare l'”ossatura” centrale, di 300-400 unità.
Anche altre nazioni avrebbero contribuito al contingente, ma la nazione leader sarebbe stata l’Italia. L’Arma doveva fornire il Comandante della Forza, con il grado di colonnello, con dipendenza di impiego dal Comandante delle Operazioni della nuova Sfor, prevista anch’essa sulle tre Divisioni, già esistenti, sotto il comando di Stati Uniti (Divisione Multinazionale Nord), Gran Bretagna (Divisione Multinazionale Sud-Ovest) e Francia (Divisione Multinazionale Sud-Est), che ne costituivano il dispositivo militare. Doveva fornire altresì il Capo di Stato Maggiore dell’Unità e organizzare la struttura portante della stessa, oltre che la struttura centrale.
Ai Carabinieri venne chiesto anche di provvedere all’addestramento individuale e di reparto delle unità straniere, appartenenti o non alla Nato, che avessero contribuito alla Forza. Dovevano garantire quasi integralmente la motorizzazione, le trasmissioni, l’equipaggiamento e il vestiario, l’armamento antisommossa, l’assistenza sanitaria, il servizio di amministrazione e tutta la restante eventuale logistica, prevista e necessaria.
Il Comando dell’Unità Specializzata sarebbe stato inserito nella catena di Comando e di Controllo determinata dalla Nato per la Sfor. Un compito complesso, con responsabilità connesse “a tutto azimut”. Per l’Italia un ruolo di protagonista di grande prestigio, esercitato dall’Arma, leading nation di questa Unità di nuova concezione e formazione, con la sicurezza della conoscenza e dell’esperienza.
Il 20 gennaio 1998 presso il Comando Generale fu attivata una Cellula di Pianificazione per studiare concettualmente la struttura ordinativa e operativa della nuova Unità e dare inizio a tutte le attività organizzative e esecutive necessarie alla costituzione del Reparto da impiegare, con particolare riguardo anche all’addestramento pre-missione del contingente inviato.
Contemporaneamente a questa febbrile attività a Roma, un ufficiale dell’Arma prendeva parte ai lavori della Cellula di Pianificazione multinazionale istituita in Belgio, in ambito Nato, presso il Quartier Generale Supremo delle Potenze Alleate in Europa (Shape, Supreme Headquarters of the Allied Powers in Europe): una presenza indispensabile per un diretto apporto professionale conoscitivo e il necessario coordinamento con gli Uffici del Comando Generale nella delicata fase preparatoria.
In sede di costituzione della Msu è stato rilevantissimo lo sforzo prodotto dal Comando Generale, oltre che per la parte concettuale e organizzativa, anche per il necessario coordinamento con le altre nazioni partecipanti, per preparare i Memorandum d’Intesa (Memorandum of Understanding, Mou) e gli accordi tecnici necessari per le forniture di supporto logistico in territorio italiano e presso la base logistica di Butmir (un piccolo sobborgo a pochi chilometri da Sarajevo), tra i Ministeri della Difesa italiano e di ciascuna nazione partecipante all’Unità.
Il lavoro di studio, minuzioso e profondamente innovativo, degli Uffici del Comando Generale, incluso quello delle due Cellule, in collaborazione stretta con gli Organi internazionali e nazionali preposti alla costituzione della Forza di Polizia di nuova concezione, portarono rapidamente a concreti e soddisfacenti risultati.
La Msu fu modellata come una Unità con connotati spiccatamente operativi e con una componente logistica ridotta all’essenziale; una Unità con una struttura agile che ne garantisse una rapida mobilità e un altrettanto rapido impiego; una Unità che doveva essere sganciata dagli schemi tradizionali della organizzazione convenzionale delle Forze terrestri: una novità assoluta, si sottolinea ancora una volta, nel panorama delle Polizie multinazionali fino allora attivate.
In meno di due mesi la struttura ordinativa era stata delineata: in Italia la Msu prendeva corpo e sostanza il 27 febbraio 1998.
In quella data fu costituito il Reparto Carabinieri Msu, con sede a Gorizia, presso il 13° Battaglione Carabinieri “Friuli-Venezia Giulia”. Ai primi di marzo del 1998 erano state definite, così come i suoi compiti, le linee essenziali della nuova Forza che prese, come detto, il nome definitivo di Multinational Specialized Unit, Unità Specializzata Multinazionale. Può essere interessante conoscere i termini esatti della missione che il Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa ha affidato alla Msu in Bosnia:
«…La Msu contribuirà a fornire a Sfor una capacità militare specificatamente indirizzata nel campo della sicurezza pubblica. In questo senso fornirà, attraverso una presenza militare, il proprio contributo alla sicurezza pubblica…».
In via definitiva, i compiti istituzionali dell’Unità sono quelli di osservare e promuovere la sicurezza pubblica, in accordo con il Comando di Sfor (raccogliere informazioni, analizzare l’evoluzione della situazione sul campo, identificare abituali perturbatori dell’ordine pubblico); di assistere il ritorno dei profughi e dei rifugiati e di facilitare l’insediamento dei Governi eletti dalle minoranze.
La Msu deve anche contribuire alla gestione delle situazioni di crisi, prevenendo attività di disturbo nelle aree a più alto rischio, coordinandosi con la Iptf e assicurando il rispetto delle direttive dell’Alto Rappresentante delle Nazioni Unite (Ohr, Onu High Representative). Per l’Unità è ammesso l’uso graduale della forza, secondo le diverse esigenze dell’ordine pubblico.
A sua volta essa opera in un ambiente reso sicuro dalle altre forze delle Divisioni Multinazionali. Conseguentemente all’apporto costruttivo dato all’ideazione e alla progettazione dell’Unità, fu deciso in sede Nato che l’intera responsabilità della costituzione, del funzionamento, dell’impiego e del comando della Msu sarebbe stata dell’Arma.
Fonte www.carabinieri.it