All’AISI serve un uomo di strategia politica e militare in un momento in cui i conflitti nel mondo sono diversi e il pericolo è di matrice terroristica internazionale e non sovversiva per ragioni politiche interne.
ORA GIORGIA MELONI PU0′ REALMENTE RINNOVARE UNA STRUTTURA STRATEGICA COME QUELLA DELL’AISI. L’OCCASIONE E’ UNICA E RAPPRESENTA UNA OPPORTUNITA’ NECESSARIA IN RELAZIONE ALLE CRISI INTERNAZIONALI IN CORSO. L’ITALIA FINORA, GRAZIE A MARIO PARENTE, HA OTTENUTO GRANDI RISULTATI IN TERMINI DI SICUREZZA E STABILITA’. LO STORICO EQUILIBRIO TRA AISE E AISI HA SEMPRE FUNZIONATO, A PATTO CHE LE DUE AGENZIE VENISSERO GUIDATE DA ESPONENTI DI ISTITUZIONI DIVERSE.
Di Giuliano Foschini e Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Giorgia Meloni sa bene che nei prossimi cento giorni si giocherà gran parte della credibilità internazionale sua e del governo. Sarà l’Italia, con il G7 pugliese di Borgo Egnazia, ad ospitare in tempo di guerra i grandi del pianeta. Una vetrina sul mondo.
Non può sbagliare. Serve equilibrio nel governo, serve il coinvolgimento dei pilastri ministeriali dell’esecutivo. Anche per bilanciare queste esigenze, la premier ha preso in mano il dossier sicurezza e ha scelto di mostrarsi più collegiale di fronte a scelte strategiche di primissimo piano.
A partire dalla nomina del capo dell’Aisi, in calendario nelle prossime settimane a causa del pensionamento dell’attuale numero uno, Mario Parente, carabiniere dalla straordinaria esperienza.
Tra i risultati di questo nuovo approccio c’è anche il ridimensionamento — o quantomeno, l’“accompagnamento” nelle decisioni strategiche — del sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano.
Non più unico king maker, ma uno degli attori di una partita delicata e complessa che la presidente del Consiglio ha deciso di giocare in prima persona. E che coinvolge la Difesa, il Viminale e l’ala “politica” di Palazzo Chigi, guidata da Giovanbattista Fazzolari.
Partiamo dall’Aisi, allora. Il totonomine va avanti da tempo. E sembra essere giunto infine a un bivio: da un lato c’è Giuseppe Del Deo, attuale vice direttore, in ottimi rapporti con il sottosegretario Fazzolari e con la stessa premier. Del Deo è infatti il numero uno dell’intelligence economico-finanziaria, casella delicatissima soprattutto in un’era monopolizzata da conflitti internazionali.
La scelta di Del Deo sarebbe letta dal comparto come una scelta interna, dunque non traumatica (in questi ultimi mesi, quando è stato scelto come numero due dopo la nomina di Vittorio Pisani a capo della Polizia, ha lavorato, bene, a stretto contatto con Parente).
Come anche lo sarebbe quella di Bruno Valensise, storico dirigente dei Servizi e attuale numero due al Dis, il Dipartimento da cui dipendono tutte le agenzie, diretto da Elisabetta Belloni.
Valensise è molto stimato dal sottosegretario Mantovano, dal ministro Matteo Salvini (che invece non è mai stato fan di Parente e dei suoi collaboratori) e anche da chi, nei governi di centrosinistra, si è occupato di intelligence: è considerato uomo esperto e di equilibrio.
Ma potrebbe non bastare. A favore di Del Deo ci sarebbe tra gli altri Matteo Piantedosi. Soprattutto dentro FdI, inoltre, si fanno spazio in queste ore gli sponsor di Del Deo. Spingono, convincendo la premier. Fazzolari, come detto. E si sarebbe convinto anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che inizialmente aveva pensato che potesse essere un altro carabiniere a sostituire il carabiniere Parente.
Il titolare della Difesa deve infatti scegliere il nuovo comandante generale dei carabinieri: in corsa ci sono il capo di Stato maggiore, Mario Cinque, e il generale Salvatore Luongo, comandante interregionale del Centro Italia.
In un primo momento Crosetto aveva ipotizzato che il “perdente” di questo ballottaggio potesse andare all’Aisi, ma al momento sembrano non esserci gli spazi. E così anche la Difesa sarebbe pronta a ripiegare su Del Deo, puntando su Luongo per la guida dell’Arma.
Una convergenza di interessi che darebbe un altro colpo alla centralità di Mantovano. Il quale ha incassato due colpi: la “sua” riforma dei Servizi, con l’idea di un’agenzia unica, che doveva essere pronta già a fine 2023, sembra definitivamente archiviata. O comunque non è più in cima all’agenda.
La scorsa settimana, poi, ha visto un altro “suo” candidato perdere la sfida per una casella cruciale: quella del procuratore generale di Roma. Non un ufficio qualunque, ma quello incaricato di autorizzare le intercettazioni preventive, quelle cioè richieste direttamente dai Servizi.
Non è un mistero che Mantovano stimasse particolarmente Antonio Patrono, magistrato dal curriculum importante, attuale procuratore di La Spezia. Fino all’ultimo Daniela Bianchini, la componente laica del Csm vicina al sottosegretario, ha provato a spingere su Patrono, o su Michele Prestipino.
Ma alla fine la commissione, all’unanimità, ha indicato il procuratore di Bologna, Jimmy Amato, secondo alcuni non gradito a Mantovano perché aveva chiesto l’archiviazione di Marco Cappato dopo un caso di suicidio assistito.
Un ultimo tassello del risiko, infine, riguarda il G7. Pochi giorni fa è stato scelto il nuovo Questore di Brindisi, che ha competenza su Borgo Egnazia. Il prescelto è l’ex capo della Digos di Roma, Gianpiero Lionetti, considerato tra i massimi esperti di terrorismo e ordine pubblico in Italia. Evidentemente, non è un caso.